Dottoressa…come devo comportarmi con mio figlio?!?

Dott.ssa Serena Cataldi-Psicologa Psicoterapeuta Firenze- 345-2995738

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Spesso, nella mia attività di psicoterapeuta, mi trovo ad accogliere le ansie di molti genitori che, davanti al disagio dei propri figli e a comportamenti difficili da gestire, si interrogano su quale sia la linea educativa più utile da seguire. Alcuni esempi dei “consigli da esperta” – come li chiamano loro – che frequentemente mi richiedono, sono:

  • Devo essere autoritario rispetto alle regole stabilite o meglio essere flessibile?”
  • “Devo aiutarlo a fare i compiti o deve imparare a cavarsela da solo?”
  • “Se torna a casa con un’insufficienza, devo metterlo in punizione o sedermi accanto a lui e capire com’è andata?”
  • “Se torna a casa e dice di essere stato picchiato dai compagni, devo consolarlo o spronarlo a difendersi da solo la prossima volta?”

Premesso che sarebbe poco utile dare una risposta netta del tipo SI/NO, bisogna considerare che in ogni situazione entrano in gioca 4 fattori, da valutare attentamente caso per caso:

  1. le caratteristiche affettive del genitore,
  2. quelle del figlio
  3. la natura della relazione genitore-figlio
  4. il comportamento “sotto accusa”.

Detto ciò, credo sia comunque utile descrivere alcuni concetti base, che potrebbero aiutare i genitori a destreggiarsi nelle cosiddette situazioni difficili.

  1. QUESTIONE DIPENDENZA-INDIPENDENZA:

Ciascun genitore desidera, sinceramente, che il proprio figlio diventi autonomo ed in grado di fronteggiare le difficoltà della vita. Una convinzione diffusa, ma alquanto dannosa, è che il bambino raggiunga direttamente l’autonomia, senza sperimentare prima il sostegno dell’adulto in situazioni per lui difficili. In altre parole, la teoria naive sottostante è che aiutare il bambino lo renda dipendente e poco incline all’autonomia (“se lo rassicuro io, non imparerà mai!!!”).

A ben vedere, ragionando sull’etimologia della parola indipendenza, notiamo come questa sia composta dalla negazione -in seguita dalla radice -dipendenza, quindi “non essere più dipendenti”. Ma come si può negare qualcosa che non si è mai conosciuto?  Detto altrimenti, come può un bambino approdare all’indipendenza se prima non ha sperimentato la dipendenza?

A questo punto, è d’obbligo smantellare un po’ di credenze relative al significato della parola dipendenza. Nell’immaginario collettivo, è associata ai concetti di sottomissione e vulnerabilità, mentre viene ignorata l’accezione di sicurezza, punto di riferimento e protezione. I bambini hanno, inizialmente, bisogno di identificarsi in un legame di dipendenza sicura, che accolga paure, vulnerabilità, contraddizioni e soprattutto errori. All’interno di questa relazione, ha un ruolo fondamentale il cosiddetto modeling ovvero apprendimento per imitazione, che consente al bambino di apprendere il comportamento “corretto”, vedendolo attuato dal genitore.

Volendo fare alcuni esempi concreti, il bambino che cade e si fa male sbucciandosi un ginocchio, beneficerà di un comportamento caloroso volto all’accoglimento del pianto e della paura e meno di una reazione distaccata del tipo “dai alzati, non frignare che è solo un graffietto”. La prima reazione consentirà al bambino di interiorizzare la capacità di prendersi cura di se stesso e, quindi, da adulto, di diventare realmente indipendente mentre, la seconda, a negare le proprie esigenze e a ritardare il soddisfacimento dei propri  bisogni.

Una questione su cui spesso vengo interpellata riguarda l’autonomia nello svolgimento dei compiti a casa. È bene sottolineare che, durante i primi anni di scuola, può essere utile al bambino percepire la vicinanza emotiva del genitore mentre si cimenta nell’acquisizione di nuove abilità: questo non vuol dire, per il genitore, sostituirsi al bambino o, peggio ancora, all’insegnante, ma incoraggiare il piccolo nell’esecuzione dei compiti, nonostante imprecisioni ed imperfezioni, che dovranno essere tollerate prima dall’adulto e poi dal bambino.

  1. QUESTIONE RENDIMENTO SCOLASTICO

Al polo opposto, invece, troviamo una situazione di dipendenza forzata in cui: il genitore si sostituisce al figlio nello svolgimento dei compiti – studia il programma che il figlio non ha capito in aula per rispiegarglielo a casa – corregge gli errori o le imperfezioni del figlio nell’esecuzione dei compiti. Un tale comportamento, cela la convinzione che il risultato finale (voto) sia più importante del processo di apprendimento in sè (acquisizione dell’autonomia) che, come tale, contempla l’errore. Un assunto di base, è che il bambino sperimenti per apprendere e che si misuri con gli errori commessi. Dare al bambino la possibilità di sbagliare equivale a fargli un grande regalo: l’eventuale correzione dell’insegnante rimarrà molto più impressa nella mente del bambino rispetto a quella del genitore.

Altra questione: che valore ha, per il genitore, il rendimento scolastico del figlio e un’eventuale insufficienza? È bene precisare che il voto NON è mai la misura del valore del bambino o delle sue capacità in generale, bensì, il risultato in una prestazione specifica, suscettibile di cambiamento e di miglioramento nel tempo. Comportamenti degli adulti, spesso involontari,  tesi all’umiliazione o alla colpevolizzazione per la performance scadente non sortiscono l’effetto desiderato: istillano un senso di inadeguatezza e incompetenza nel bambino senza aiutarlo a migliorare concretamente. Altri atteggiamenti dannosi sono quelli che fanno intendere al bambino che la stima e l’affetto nei suoi confronti sono subordinati alla performance scolastica (“se porti a casa un’altra insufficienza, non ti voglio più bene”). È infatti fondamentale, per la salute psicologica del bambino, che stima ed affetto vengano dati per scontati!

Inoltre, se si intende come una metafora, l’insufficienza a scuola potrebbe rappresentare un ostacolo che il bambino incontrerà più avanti nella vita adulta. Come potrà fronteggiare le future difficoltà se non ha avuto modo di sperimentarsi, negli anni, con i piccoli ostacoli commisurati alla sua età?  Come potrà, da grande, confrontarsi in maniera assertiva col capo a lavoro se da piccolo non ha sperimentato l’errore e la conseguente capacità di dire all’insegnante “non ho capito, me lo rispieghi?”, se il genitore si è sostituito a lui, risolvendogli a monte il problema?

  1. QUESTIONE GESTIONE DELLE EMOZIONI

Infine, un’altra domanda che spesso mi sento rivolgere riguarda l’esternazione delle emozioni.

 “Se mio foglio torna a casa e ha litigato con i compagni, devo consolarlo o spronarlo a far valere le proprie ragioni la prossima volta?”

“Se è spaventato dalla visita dal dottore, devo dirgli che non c’è niente da temere o devo accogliere le sue paure?”

Come si diceva all’inizio del paragrafo, è fondamentale sperimentare relazioni di dipendenza sicura, che accolgano paure, fragilità e insicurezza. Le emozioni devo sempre essere validate ovvero accolte ed ascoltate. La motivazione che si cela dietro alla paura può certamente essere immotivata, ma soprattutto i bambini utilizzano i sentimenti come canale di comunicazione preferenziale. Dire “non c’è niente da temere” corrisponde a dire “non hai diritto di provare quello che stai provando e, se lo provi, sei sbagliato, hai qualcosa che non va!”. È importante, all’inizio, accogliere l’emozione del bambino, ascoltarla e capire cosa vuole comunicarci. Frasi utili possono essere:

capisco che sei spaventato, anch’ io da piccolo non volevo mai andare dal dottore”

“mamma sarà lì con te in ogni momento e non ti lascerà mai da solo”

“cosa ti spaventa?”

Solo dopo aver dato valore all’emozione comunicata dal bambino, si possono fornire informazioni “razionali” che aiutino a ridimensionare la paura. Ad esempio:

la visita durerà 5 minuti, poi andiamo a comprare un gelato”, oppure

 “ma sai che quel dottore è bravissimo con i bambini?”

Vista la complessità dell’essere genitori, sono sicura che non vi sarebbe alcun testo, per quanto esaustivo, sufficiente per fronteggiare adeguatamente le difficoltà che si incontrano ogni giorno con i propri figli. Tuttavia, mi auguro che questo breve articolo abbia fornito qualche indicazione utile su come destreggiarsi alle prese con le proprie emozioni proprie e con quelle dei propri figli.

Dott.ssa Serena Cataldi

Psicologa Psicoterapeuta Firenze

345-2995738 cataldi.psicologa@libero.it

BIBLIOGRAFIA:

FOTO:

https://www.google.com/search?q=immagini+genitori+che+litigano+con+i+figli&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwio9IXm0NPdAhVKxhoKHeX8CTYQ_AUICigB&biw=1280&bih=585#imgrc=A3N6ABFnDqtnvM:

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